Chi sono

Candidata Sindaco per il comune di Como alle elezioni del 6 e 7 maggio 2012 per la lista Ecologisti e reti civiche.

Nata a Como nel 1962. Laureata in Architettura e insegnante di Progettazione all’istituto Statale d’Arte per l’arredamento di Lomazzo. Membro del consiglio nazionale degli Ecologisti e Reti Civiche, responsabile regionale dei Verdi e portavoce dei Verdi di Como, è stata consigliera comunale dal 2002 al 2007 e membro della Commissione urbanistica Comune di Como. E’ promotrice di progetti ambientali nelle scuole, del Parco Canile della Valbasca e del Piano del Verde della città di Como. Impegnata in progetti di cooperazione internazionale a sostegno dei minori in difficoltà.



martedì 27 aprile 2010

L'Italia paga per il nucleare che non ha, ma che aveva: si tratta di oltre 12 miliardi di euro per gestire le scorie radioattive. Questo, nonostante il deposito nazionale ancora non sia stato identificato ufficialmente. Anche se la sede potrebbe essere nell'area di Garigliano, tra Latina e Caserta, che per i vecchi trascorsi viene ritenuta 'la piccola Chernobyl italiana'.

E' questo il contenuto di un dossier dei VERDI presentato nel corso di un'azione di protesta di fronte a Piazza Montecitorio, proprio nell'anniversario dei 24 anni dell'incidente di Chernobyl: ai piedi di un plastico di una centrale nucleare, il presidente dei VERDI, Angelo Bonelli, insieme con altri rappresentanti ha simulato un incidente atomico, con tanto di tute bianche anti-radiazioni e finti malori.

Dalla chiusura delle vecchie centrali ad oggi, si osserva nel dossier, la cifra che i cittadini italiani hanno dovuto pagare per la gestione delle scorie radioattive supera i 12 miliardi di euro senza che sia stato possibile indicare il deposito unico nazionale. La quantita' attuale di rifiuti radioattivi italiani di seconda (scarti di lavorazione) e terza categoria (combustibile irragiato, scorie di riprocessamento) e' pari a circa 90.000 metri cubi: 25.000 attuali e altri 65.000 provenienti dalle centrali in dismissione. A questi bisogna poi aggiungere una produzione annuale di 1.000 metri cubi di scorie provenienti da usi medici e industriali. Quelli di seconda categoria sono rifiuti pericolosi per circa 300 anni mentre quelli di terza rimangono carichi di radioattività anche per 250.000 anni.

Per quanto riguarda il deposito nazionale a Garigliano, si legge nel dossier dei VERDI, bisogna ricordare che nell'area e' presente l'ex centrale nucleare in fase di smantellamento.

Pertanto, bisognerebbe capire se l'eventuale deposito accoglierebbe le scorie di quella centrale o di tutto il territorio. Secondo i VERDI, tra l'altro, la centrale di Gargliano, definita 'una piccola Chernobyl', e' stata vittima di diversi incidenti. Il primo, nel dicembre 1976 il fiume Garigliano, dice il dossier, che in fase di piena e' entrato nel locale sotterraneo raccogliendo e trscinandosi con se' oltre un milione di litri d'acqua contaminata con radionuclidi. Nell'agosto del 1978 l'impianto chiude. E nel novembre del 1979 si verifica un incidente analogo. Nel novembre del 1980 le piogge abbondanti, aggiunge lo studio, penetrando fuoriescono nel fiume portandosi dietro Cesio 137. Nel novembre del 1982 un contenitore su rimorchio ferroviario da Roma a Garigliano perde per strada 9.000 litri di acqua con Cobalto 58, Cobalto 60, e Manganese 54. Infine, secondo il dossier, sono documentabili nel 1972 e nel 1976 due esplosioni dei filtri del camino centrale.

Dietro l'accordo con la Francia per la costruzione di reattori nucleari in Italia potrebbero esserci 'accordi riservati per la costruzione di armi atomiche: ovvero, dietro l'accordo Sarkozy-Berlusconi potrebbe esserci un accordo oltre che di cooperazione civile anche di cooperazione militare'. Lo dice Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, nel corso della manifestazione contro il ritorno del nucleare, oggi davanti piazza Montecitorio, a 24 anni dall' incidente che ha causato la tragedia di Cernobyl.

Il 26 aprile del 1986, ricorda Bonelli, 'ci fu il piu' grande incidente nucleare che la storia ricordi e che negli anni ha fatto oltre 200 mila morti'. Per questo, continua il presidente dei Verdi 'chiediamo al governo di fermarsi e di non tornare al nucleare. Ma - aggiunge il leader del ‘Sole che ride' - chiediamo se dietro l'accordo con la Francia si nasconde un'operazione che potrebbe portare alla prima bomba militare italiana'. Anche perche', conclude Bonelli 'il nucleare civile, di solito, va di pari passo con quello militare'

Intanto sarebbe in arrivo un nuovo colpo per le energie rinnovabili ed in particolare per la promozione del solare. 'Hanno deciso di tagliare il conto energia del 20%. Sarebbe, infatti, pronta una bozza che andra' in uno dei prossimi Consigli dei ministri'. A riferirlo il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, a margine di una manifestazione contro il ritorno del nucleare in Italia, oggi davanti piazza Montecitorio.

Secondo Bonelli 'sara' un colpo durissimo al mondo delle imprese e delle rinnovabili'.

Il conto energia consiste in una fetta di incentivi e aiuti allo sviluppo di energie rinnovabili con particolare attenzione al fotovoltaico. A quanto detto da Bonelli la bozza in questione sarebbe sul tavolo del ministero dello Sviluppo Economico.

lunedì 19 aprile 2010

Bambini prima affidati e poi tolti
L'Italia dei genitori «usa e getta»
Spesso sono solo un «parcheggio» temporaneo. Raccolta di firme per cambiare la legge

Società

Bambini prima affidati e poi tolti
L'Italia dei genitori «usa e getta»

Spesso sono solo un «parcheggio» temporaneo. Raccolta di firme per cambiare la legge

Una scena di «salvatore questa è la vita», il film di Gian Paolo Cugno che racconta di un professore che chiede l'affidamento di un allievo orfano di genitori
Una scena di «salvatore questa è la vita», il film di Gian Paolo Cugno che racconta di un professore che chiede l'affidamento di un allievo orfano di genitori
MILANO — Ma vengono prima, per la legge, i diritti dei bambini abbandonati o quelli degli aspiranti genitori? È quello che ti domandi leggendo sul sito dell'associazione «La Gabbianella» la testimonianza di Claudio e Cinzia che, come scrivono, sono stati «trafitti a tradimento da una brutta storia di affido». Al centro di questa storia c'è una piccola, Micha, dalla vita travagliata: i primi due mesi (disastrosi) coi genitori naturali, poi in ospedale per denutrizione, poi in «parcheggio d'urgenza» presso una famiglia finché, al sesto mese, viene data in affido a Claudio e a sua moglie. Coi quali resterà per quindici mesi. Felici. A un certo punto, un giudice del Tribunale dei minori, evidentemente informato di come sta crescendo la piccola, chiede ai due se abbiano pensato all'adozione. Claudio e Cinzia sanno di avere qualche anno in più rispetto a quelli previsti dalla legge per chi adotta figlioletti così piccoli. Ma il giudice spiega loro che «si potrebbe procedere verso una adozione speciale/nominale».

Neanche il tempo di sperarci e arriva la doccia fredda: Micha andrà in adozione a un'altra famiglia. I due non capiscono: «Il pediatra si arrabbia quando lo informiamo, dice che dobbiamo prendere un avvocato, questa bimba ha già sofferto tanto nella sua breve vita, ora ha raggiunto un equilibrio, un ulteriore passaggio in un'altra famiglia sarebbe distruttivo. Dice che, se veramente le vogliamo bene, dobbiamo fare di tutto affinché Micha resti dov'è». Portando a sostegno varie testimonianze, cercano di spiegare al presidente del tribunale che la cosa non ha senso e potrebbe danneggiare la bimba: Risposta: «Vi ringraziamo per quello che avete fatto, l'adozione speciale è prevista in casi particolari, questa bambina ha migliori opportunità di vita, ci sono coppie che hanno una domanda di adozione da tre anni quindi con più diritti di voi». Ma come: i diritti di una coppia che desidera un figlio, per quanto diritti legittimi, vengono prima di quelli della creatura che è in ballo? Per carità, magari l'inserimento della piccola si rivelerà alla lunga positivo (l'inizio, a leggere Claudio e Cinzia, è stato traumatico), ma il tema resta: andava privilegiato il bene della bambina o i diritti degli aspiranti genitori? E non sarebbe opportuno un po' di buon senso, in casi come questi, per evitare questi traumi ai piccoli? Il guaio è che di casi così ce ne sono diversi.

Prendiamo quello di Mathias raccontato da Daniela Assembri: «Durante le feste di Natale del 2005, sono passata dagli uffici dei Servizi sociali del Comune della mia città ed ho chiesto se c'era un bambino che avesse bisogno del calore di una casa, per Natale. Avevo già avuto due esperienze di affido e in quegli uffici mi conoscevano. L'assistente sociale mi ha subito proposto un bambino nato da pochi giorni e ancora ricoverato nel reparto maternità dell'ospedale. La giovane famiglia aveva dei problemi. Ho detto di sì con entusiasmo. Mi avrebbero fatto sapere. A metà gennaio 2006 mi confermano l'affido. E così due operatrici dell'Ufficio minori mi portano a casa Mathias, avvolto in una copertina; mi danno alcuni ragguagli sul latte e sugli incontri da fare con i genitori e se ne vanno». Da quel momento, per due anni abbondanti (i due anni fondamentali per la vita di un bambino, quelli in cui impara a camminare, parlare, mangiare, giocare...) lo Stato mostra di fidarsi ciecamente della donna, che è single e vive da sola, senza un marito o un compagno. Una delega piena, totale: «Le assistenti sociali non sono mai venute a casa mia, non hanno mai visto l'ambiente di Mathias, il suo gatto, i suoi giochi, le persone che mi hanno aiutato ad allevarlo (in particolare mio fratello) o che lo hanno tenuto con tanta attenzione e affetto (i miei cari amici)». Finché il giudice decide che il bimbo «parcheggiato» dalla signora Daniela (la quale per lui ha fatto mille rinunce adattandosi all'incertezza burocratica: «Gli compro già il lettino o basterà la carrozzina? E il box? E il girello? E un seggiolino più grande per l'auto? E un nuovo passeggino? E le vacanze? E il mio ritorno al lavoro dopo la maternità? E l'eventuale iscrizione all'asilo?») va dato in adozione. A Daniela? Neanche a parlarne: Mathias le sarà anche affezionato e lei si sarà spesa l'anima per essere una buona mamma, ma santo cielo: non è sposata! Non ha un marito! Per lo Stato va bene come parcheggiatrice, non di più. Ha tirato su lei il bambino e passato lei le notti in bianco quand'era malato e gli ha insegnato lei a dire «mamma» e gli ha mostrato lei la prima volta la luna? Stia al suo posto! E poi tutte quelle domande alle assistenti sociali: cosa sarà del bambino? Dove andrà? La nuova mamma e il nuovo papà sono a posto? Gli vorranno bene? Diamine: non son mica fatti suoi! Conclusione: il piccolo viene tolto a quella che fino a quel momento è stata sua mamma praticamente senza un passaggio delle consegne: «Non ho mai incontrato la famiglia adottiva, pare che sia stata la famiglia stessa a non volermi conoscere».

È giusto così? Vale per Daniela la single, vale per famiglie tradizionali in senso pieno. Come quella, racconta il sito della Gabbianella (www.lagabbianella.org) che accolse la piccola A. e i suoi fratellini: una coppia con «ben cinque figli naturali, che per undici anni ha accolto in affidamento dei bambini, accompagnandoli poi verso altre famiglie adottive o nella loro stessa famiglia naturale». Anche questi genitori «usa e getta»: utilizzati dallo Stato per parcheggiare i tre fratellini e poi scartati per l'adozione di A. (affidata loro quando aveva meno di due mesi) nonostante il parere contrario del Tutore dei minori e del neuropsichiatra, entrambi schierati perché la bimba non venisse spostata dall'ambiente in cui era cresciuta. Per questo «La Gabbianella» presieduta da Carla Forcolin, autrice di più libri sul tema (uno per tutti: Io non posso proteggerti) ha avviato una raccolta di firme per chiedere ai parlamentari un ritocco, messo a punto dall'avvocato Lucrezia Mollica, alla legge 184/83 che regola la materia: «Qualora l'affidamento di un minore si risolva in un'adozione, a causa del mancato recupero della famiglia d'origine, vanno protetti i rapporti instauratisi nel frattempo tra affidati e membri della famiglia affidataria. Va quindi favorita la permanenza del bambino nella famiglia in cui egli già si trova; ove ciò non sia possibile, va comunque tutelato il mantenimento di un rapporto affettivo con la famiglia affidataria, nelle forme e nei modi ritenuti più opportuni dagli operatori, dopo aver ascoltato la famiglia affidataria stessa e la futura famiglia adottiva». Buon senso. Solo buon senso.